Non ne posso più. Ecco l’ho detto. Sono in uno di quei periodi in cui stare sui social network mi fa accapponare la pelle. Uno dei trigger credo sia stato il caso Balocco-Ferragni. Non tanto per il fatto in sè, ma per l’ondata di insofferenza e aggressitivà collettiva che questo ha generato nell’universo online. Il fatto che Chiara Ferragni abbia dovuto, per più di quattro mesi, tenere chiusa la sua sezione commenti su Instagram per evitare di essere quotidianamente ricoperta di insulti ha, secondo me, qualcosa di spaventoso. Qualsiasi profilo lei abbia menzionato durante quelle settimane ha ricevuto una sorta di shitstorm per interposta persona, che ha costretto i proprietari di quei canali a blindare a loro volta il profilo.
Io ho amato molto la comunicazione online, anzi in verità la amo ancora. E capisco almeno in parte le ragioni di questo rancore collettivo. La pandemia ha inasprito le disparità sociali, ha aperto gli occhi a molti sul fatto che il mondo del lavoro sia poco compatibile con l’esistenza, le guerre e le catastrofi che stanno accandendo nel mondo a pochi passi da quello occidentale sono spaventose. I millennial stanno entrando nella mezza età con lo sguardo disilluso di chi aveva visto nella rete l’opportunità di rendere il mondo davvero più connesso e democratico, e invece si trova davanti a un teatrino fatto di intrattenimento simil-televisivo in mano a dei potenti che usano i nostri dati per garantirsi un profitto.
Ma stare online è necessario, perchè ormai quasi tutti facciamo un lavoro che implica una presenza più o meno stabile sul web, perchè è diventato, che lo vogliamo o no, uno dei modi principali che abbiamo per rapportarci con le persone della nostra rete, perchè i telefoni che teniamo in mano tutto il giorno sono utili al punto da generarci una dipendenza di cui probabilmente non possiamo liberarci, ma con cui possiamo solamente venire a compromessi.
Per questo sono alcuni mesi che ragiono su quali possano essere i principi a cui possiamo aggrapparci per rendere questa inevitabile vita virtuale più sana e più proficua. Ispirandomi al manifesto dello stare online che Sara Tasker ha pubblicato lo scorso anno, ho immaginato un mio manifesto, che senza aggiungere altro vi presento qui:
Il tuo tempo non è un bene pubblico, puoi usarlo come preferisci. Così come l’attenzione degli altri non ti è dovuta, non sei in debito verso nessun creator, servizio o piattaforma.
Chi grida più forte non deve essere ascoltato più degli altri. E questo vale per video, messaggi privati, titoli di testate online. Anzi, i contenuti più “urlati”spesso sono del tutto trascurabili.
Non sei obbligatə a prendere sempre posizione o a occuparti dell’argomento del giorno, così come non sei costrettə a condividere/supportare qualsiasi nobile causa. Puoi proteggerti dalle notizie che ti fanno stare male e tutelare la tua salute mentale cercando informazioni attraverso media che rispettano i tuoi limiti.
Se gli eventi intorno a te sono tragici, hai comunque il diritto di pubblicare qualcosa di tuo. Oppure di non farlo, se senti il bisogno di stare in silenzio.
Lascia che gli altri abbiano torto. Sui fatti, sulla politica, su di te. Salvaguarda la tua energia, non sprecarla per rispondere a chi non ha intenzione di confrontarsi davvero.
Stabilisci delle regole di comportamento per i tuoi spazi online, esplicitale, e poi escludi senza timore chi non le rispetta. Trovi un esempio di regole di comportamento per la community in queste stories di Beatrice Zacco.
Non permettere a nessuno di montare una shitstorm contro di te, anche se hai fatto un errore. Sbagliare è umano, scagliarsi contro un individuo celati nella forza del branco è un comportamento scorretto e violento. Purtroppo caderci è fin troppo facile, quindi cerca sempre di controllarti per non diventare a tua volta carnefice. Blocca senza paura le persone che attentano alla tua salute mentale.
Crea per generosità, per entusiasmo, per passione. Fidati dell’istinto. Se non sai da cosa farti guidare nella tua comunicazione punta sulla generosità, è la spinta migliore.
Pratica la comunicazione non ostile con costanza e cocciutaggine, anche quando il contesto sembra richiedere lo scontro. Sii gentile con tutti, specialmente con te stessə.
I social hanno molte ombre. Non sentirti in colpa se ogni tanto, per promuoverti, devi passare al “lato oscuro”. Impara a dosare, nei tuoi contenuti, umanità e strategia. Si può fare pubblicità, e anche vendere, restando etici.
Nutriti di bellezza estetica senza ritegno, riconosci e coltiva i tuoi “glimmer”. Se non sai cosa sono, lo spiega molto bene Nina Gigante. Non temere la frivolezza, divertiti.
Hackera l’algoritmo, educalo, aggiralo, rompi le bolle social consumando contenuti che mettono alla prova la tua comfort zone. Ma non sentirti in colpa quando ci torni a curarti le ferite.
Hai il diritto di non essere un brand. Di creare solo per te, e pure di non creare affatto. Hai il diritto di “sparire”, di ignorare le dinamiche della società della performance. Hai, indiscutibilmente, il diritto di non farcela.
Metti sui social quello che FAI, non quello che SEI. Proteggi e apprezza la tua essenza e quella degli altri. Fai in modo che ci sia una parte di te che non finisce mai in nessun feed, non importa quanto sia potenzialmente “cool”.
Passa del tempo offline, conosci la tua FOMO e fattela amica. Come dicevamo prima, con la dipendenza da smartphone si può venire a compromessi, ma non passa mai del tutto. Impara a trovare un equilibrio, e fallo per te e per le generazioni che verranno.
Ho scritto questo manifesto pensando ad una persona come me, cioè che usa i social per lavoro, ma sono abbastanza sicura che si applichi bene anche a chi spende tempo online per rilassarsi (o perlomeno, sperando di farlo). Io credo che sia possibile trovare un equilibrio tra un uso passivo degli spazi virtuali e un approccio più consapevole, così come tra l’essere strategici online e il rimanere saldi ai propri principi. E credo, voglio credere, che saremo capaci di auto-educarci a riconoscere le insidie e i “lati oscuri” dei social e di vivere una vita online più serena.
Se volete dirmi cosa ne pensate, o se avete qualche voce da aggiungere a questa lista, fatemelo sapere nei commenti di Substack oppure direttamente su Instagram.
Amen sorella. Io vivo un profondo senso di nausea ultimamente, di noia anche, ogni volta che apro Ig, enorme. La radice di tutti i mali per me è il concetto tanto osannato di personal branding, un ossimoro, l’ho sempre detto: siamo persone, non brand. E c’è una differenza abissale, che abbiamo finto di non vedere negli ultimi 15 anni. Così il capitalismo è arrivato a mangiarsi l’umano: la creatività, le emozioni, la vita privata di tutti. Lo dico con tristezza, perché è un gioco a cui, negli ultimi 15 anni, ho giocato anche io. Ho aperto Instagram appena è nato, nel 2010. Su Ig ho conosciuto alcune delle mie migliori amiche e persino il padre di mio figlio. Ma le cose sono cambiate e non so nemmeno se è ancora possibile abitare gli spazi digitali con la stessa gioia. Si sono rivelati per quello che sono e che io per prima non avevo mai visto: non un parco giochi senza regole in cui correre in libertà ma un campo minato con buchette insidiose. Grazie per il lavoro che fai, te lo dico sempre e te lo dico anche qui
Ciao MARTA, io aggiungerei anche CREA solo se ti diverte non farti violenza se questo sistema di comunicazione non ti appartiene per nulla! Fai pace col senso di colpa. Non fa per te, punto. Puoi fare altro per farti conoscere. Ma non andare contro la tua natura.